Ancora su Twitter: alcune riflessioni formali, forse controcorrente
Una delle applicazioni che appartengono a pieno diritto al cosiddetto Web 2.0 è senza dubbio Twitter, di cui ho già parlato alcuni giorni fa.
Come ho conosciuto Twitter? Il mio primo contatto con questo sistema l'ho avuto all'inizio di gennaio, ma non ne avevo comprese le potenzialità e la vera utilità fino a quando al BarCamp romano non ho assistito al simpatico intervento di Antonella e Cristian proprio sull'argomento.
Grazie ad Antonella e Christian ho anche scoperto l'esistenza di una piccola ma utile letteratura su Twitter, tra cui un'enunciazione della relativa netiquette dell'amico Fullo, che ho diligentemente letto. Tra le varie regole di comportamento suggerite, si consiglia di usare la terza persona, ma su questo punto dissento fortemente.
Interpretando infatti ogni micropost come una risposta alla domanda "cosa sto facendo" ("what am I doing") proposta nel badge pubblico da inserire nel proprio sito o blog oppure a "cosa stai facendo?" ("what are you doing?") che nella homepage di Twitter sovrasta il campo in cui inserire i propri messaggi, mi sono convinto che sia la prima persona quella da usare, sempre e comunque.
Seguendo poi nella homepage del sito ufficiale le "twitterate" pubbliche in inglese, è possibile assistere ad un trionfo di gerundi, che significano "(sto) facendo questo e quello". L'utilizzo della forma impersonale (quasi come se si usasse il comando "/me" delle chat IRC) fa sembrare a mio parere ogni messaggio abbastanza ridicolo. Un esempio è un badge che reca la scritta "what am I doing..." in alto e in basso il messaggio "Sta leggendo un libro": che senso ha?
È per questo motivo che, da precisino quale sono nei riguardi della lingua italiana (soprattutto per deformazione professionale), ho deciso di adeguarmi a quella che ritengo la forma sintattica più corretta da usare e spero che in questo mi seguano anche i miei "compagni di Twitter".
Non più dunque "Sta leggendo un libro" ma, semmai, "Sto leggendo un libro". O meglio ancora (se vogliamo accreditare la tesi di Bru, secondo cui l'uso delle lingue nazionali in luogo dell'inglese limiterebbe seriamente la serendipità, ovvero lo scoprire casualmente delle cose cercandone delle altre) "(I am) reading a book". E chissà che entro breve non mi converta anch'io alle "twitterate" nella lingua della perfida Albione...
E voi come la pensate?
Ma soprattutto, a chi frega qualcosa? ;-)